Tutti gli esseri umani hanno diritto all’anima divina, non solo gli Yahùd!
Ank, il soffio vitale d’Aton, Figlio di Ra, il suo Spirito Santo, sarà trasmesso ad ogni cellula uomo. Allora tutti quelli che avranno l’albero della vita originario, fin dall’inizio del mondo, saranno mutati in un lampo, leveranno le mani al cielo per giurare e confermare il patto dell’alleanza con gli Elòim Creatori.
Ank, il soffio vitale d’Aton, Figlio di Ra, il suo Spirito Santo, sarà trasmesso ad ogni cellula uomo. Allora tutti quelli che avranno l’albero della vita originario, fin dall’inizio del mondo, saranno mutati in un lampo, leveranno le mani al cielo per giurare e confermare il patto dell’alleanza con gli Elòim Creatori.
Il gangster del jazz
Lunedì 6 agosto 1945. Ore 18.45
A Cagliari s'appressava l’imbrunire. Le campane della cattedrale avevano suonato le sei e quarantacinque, quando il fattorino delle Poste e Telegrafi, straordinariamente fuori orario, era arrivato all’ingresso della base militare, dove Lionel Cooley aveva trascorso sedici mesi di guerra. Il ragazzo trascinava i piedi nudi, agitando svogliatamente nella mano destra un telegramma. Era un sedicenne tutto pepe, eternamente abbronzato, con i capelli ricci, gli occhi scuri e profondi, di quelli che nei film degli anni ’60 avrebbero emozionato le zitelle americane, approdate sull'isola per dipingere.
Bussò negligentemente alla porta del posto di guardia, dove un militare stava sonnecchiando. La sua immobilità vegetale ben si adattava al panorama. Aveva gli occhi chiusi, la bocca aperta, le mani incrociate dietro la nuca, afflosciato su una sedia con lo schienale poggiato al muro. Russava.
“Ehi, signor colonnello”, gridò il ragazzo. L’uomo aprì l’occhio destro: “Cosa c’è! Don’t disturb my snooze after dinner, il mio riposino del pomeriggio, lasciami stare, almeno adesso che è finita sta maledetta guerra.”
“Io vi lascio stare, ma c’è un telegramma, signor comandante.”
“Ma che colonnello e comandante, fammi vedere!”, disse Lionel Cooley, aprendo la porta. “Non me la date la mancia?”
“Un calcio nel culo ti do!”
Il ragazzo lasciò il telegramma sull’angolo della scrivania e scappò a tutta velocità, dopo aver raccolto la monetina lanciatagli dal giovane militare. Il capitano, nauseato dal caldo, si alzò, per raggiungere la fiaschetta del vino bianco, appesa al portamantelli. Bevve una lunga sorsata calda di Canonau, poi si decise a leggere il nome del destinatario. Era per lui! Aprì il telegramma e iniziò ad agitarsi. Infilò le scarpe, abbottonò la camicia, si mise in testa il cappello dell’uniforme, compose al telefono un numero interno: “Ehi, Jack, puoi sostituirmi? Un impegno, devo correre. Dai, non sono un negriero, appena posso ricambiò il favore”.
Candido Sanna, che da dieci anni tutta Cagliari chiamava Ken l’americano, dopo che per dieci anni a Chicago l’avevano chiamato Ken il sardo, possedeva una villa di pregio dall’altra parte della città, quasi rasa al suolo dai bombardamenti. Era un contatto importante quell’impresario, quel trafficone italo americano, che amava il jazz, lo swing in particolare.
Cooley aveva ambizioni da press agent e conosceva i migliori strumentisti della band militare, che avevano suonato per le truppe dal vivo e dai microfoni di Radio Cagliari. Sognava di trovare un ingaggio per i suoi amici: Fred Buscaglione e Jimmy Dash. Avrebbe voluto portarseli in America, e ci sarebbe riuscito. Doveva pensare al futuro, tirare su dei bei dollari, tessere reti, perché quei due erano geniacci che avrebbero suonato nei migliori locali: da Atlanta a San Diego, passando per New York, Las Vegas e Chicago ! Oh, Chicago, Chicago! Le foto di Red Saunders trionfatore al Club De Lisa nel 1942, gli pulsavano ancora negli occhi. Sanna aveva contribuito in silenzio a quel successo!
Il telegramma lo eccitava, Sanna era un appassionato, un intenditore, e glielo aveva promesso! Di lì a qualche tempo, sarebbe tornato a casa con dei contratti firmati, per almeno due stagioni.
Lionel pedalava svelto, mentre un crepuscolo dolce, come solo la primavera sarda poteva concepire, stava conquistando il lungo mare e le splendide spiagge di sabbia fina. Il sole era andato a nanna. Soltanto un nastro dorato all’orizzonte e su questo i pini marittimi emergevano come ombre cinesi. Alcuni pescherecci stavano lasciando la costa per dirigersi al largo, su uno specchio fatato che da indaco cambiava lentamente colore, divenendo blu notte. I cinema, le sale da ballo, i caffé stavano ridando coraggio alle insegne luminose: aprivano le porte alla gente, che dopo aver contato per anni soltanto le stelle in cielo, smaniava di folleggiare per festeggiare la fine dell’incubo.
Nella brezza fluttuava una miscela fragrante di iodio, salsedine, fiori selvaggi e olio d'oliva fritto: il profumo stesso della Sardegna.
Ken Sanna si era fatto costruire di fronte al mare, una fortezza a prova di bombardiere, difesa da guardie armate e da un sistema d’allarme. Era come un bunker, dotato di un passaggio sotterraneo che arrivava fino alla costa, al suo porticciolo privato. Là viveva, in piacevole ritiro, giocando a bocce, a carte e a scacchi, sollazzandosi con belle donne, mentre i suoi mezzi blindati viaggiavano sempre, trasportando ogni genere di conforto. Lionel Cooley appoggiò la bicicletta al muretto bianco, tirato a secco, ed il portone si aprì come quello della grotta d’Alì Babà, senza che dovesse pronunciare la nota formula… Apriti Sesamo! Tre sentinelle, pronte a far scivolare le mani nelle tasche interne delle giacche, per agguantare le automatiche, spuntarono da un massiccio contrafforte. Videro che si trattava del tenente Cooley e si ritirarono, lasciandogli via libera.
Lionel attraversò il giardino tranquillamente, salì lo scalone imperiale ed entrò nella villa dall’atrio principale, poi si diresse, sicuro, verso il salone d’onore.
Il padrone di casa, vestito di bianca eleganza mediterranea, con i suoi settanta anni e cinquantadue chili, se ne stava sprofondato in una vasta poltrona barocca. Giocava a scacchi con una donna di straordinaria bellezza.
“Salve Lionel, nemico del mio cuore”, disse Ken. “Siedi con noi, fra paesani. Bevi qualcosa d’americano, bourbon, martini?”
“Vino bianco”, disse Lionel con un filo di voce.
La ragazza gli mozzava il fiato: l'aveva sedotto con uno sguardo. Avvertiva uno strano potere in quella creatura esotica, dalla pelle scura. Il profumo speziato, l’aroma di cioccolata, la pelle d’ebano, tutto in lei emanava sanguigni trasporti di passione.
Accavallò le preziose gambe d’ebano, dondolando leggermente la destra; con un solo movimento gli stava comunicando classe, raffinatezza, erotismo. Lo lusingava, facendolo sentire al centro del mondo. Lionel avvertì sapore di sesso sbocciare sulla lingua e desiderò restare solo con lei. Sentì che quella bocca socchiusa, rossa come il fuoco, voleva rapirlo in un piccante intrigo di baci.
“Allora, mi stai ascoltando Lionel?”
“Sì, scusa…”
”Capisco, Lilly Moreau è affetta da seduzione congenita, non lo fa apposta. Oltre ad essere una brava archeologa è l’incarnazione della lussuria”.
Il cameriere portò tre bottiglie gelate, di vini diversi.
“Veniamo al motivo della tua visita. Ti ho chiamato per chiederti un piccolo favore”, una luce inquietante attraversò gli occhi della donna, che rimase in silenzio.
“La dottoressa Moreau, mi ha proposto un affare interessante. Era l’assistente di un noto studioso di tradizioni esoteriche.”
“Lavoravo per Heinrich Himmler”, tagliò corto lei.
“Il cadetto d’Adolf Hitler, il rifondatore delle SS?” disse Lionel Cooley, realmente sconcertato.
“Sì, l’Ahnenerbe Forschungs und Lehrgermeinschaft, l’Associazione per la Ricerca e la Diffusione dell’Eredità Ancestrale da lui fondata, finanziava le nostre missioni archeologiche Cercavamo le cose più misteriose, dal Sacro Graal nel Francia del sud, all’accesso ad Agharti in Asia centrale. E’ quasi impossibile entrare in quel regno, quando non si è invitati. Tale impresa porta alla morte.
Hitler era ossessionato dal Re del Mondo, tanto quanto Himmler da Re Enrico Primo, detto L’Uccellatore. Si considerava la sua reincarnazione.”
“Non ne ho mai sentito parlare”, disse Lionel.
“Fu il primo sovrano dei tedeschi, che nel medioevo barbarico respinse le incursioni di boemi e magiari, ponendo le basi per la creazione del Sacro Romano Impero.”
“Una questione fra nobili, insomma, e l’ha poi trovato questo Re del Mondo?”
“No, ma ho scovato una creatura molto interessante”, disse Sanna. Gli mostrò una piccola piramide di metallo argenteo scuro, a base quadrata.
“Cos’è, un souvenir, un fermacarte?”, domandò Lionel, osservando con curiosità il misterioso oggetto.
“E’ parte di un congegno d’alta tecnologia, fabbricato da una razza aliena antidiluviana.”
“Boom!”, urlò Lionel, battendo le mani, divertito come un bambino al tiro a segno.
“Risparmia l’ironia, amico, perché fra pochi anni potrà distruggere o salvare l’umanità.”
“Mi hanno scongiurato di conservarla come il bene più prezioso”, concluse lei.
“E’ una storia assurda: perché l’avrebbero affidata alla prima arrivata?” Lionel sorrise, dubitava.
“Il principe che ho incontrato, è un essere speciale, dotato di poteri straordinari”, sussurrò Lilly, “mi aspettava e sapeva tutto di me, anche che sarei giunta fin lassù. Io sono stata scelta, ero la designata”, accavallò flessuosamente le gambe, “la piramide proviene dall’Egitto predinastico ed è appartenuta ai sacerdoti Leviti che la portarono con loro nell’Esodo, per poi custodirla nel Tempio di Salomone con altri tre solidi d’identiche dimensioni.”
“I fermacarte, allora, erano quattro, io sono bravo in aritmetica e non sono stupido, finiamola con questo scherzo, Ken!”
“I fermacarte sono quattro e non stiamo scherzano. Non possono più restare insieme; questo gingillo vorremmo affidarlo a lei… per qualche giorno”, chiarì la ragazza.
Lionel pensò che quel mattacchione di Ken Sanna stesse esagerando. Commerciava in tutto, dai tempi del proibizionismo, e non era certo diventato il re della borsa nera con la musica, anche se adorava il jazz, ma un conto erano i diamanti, le armi, il whisky, un altro i dischi volanti, i guru e gli scienziati pazzi.”
A Cagliari s'appressava l’imbrunire. Le campane della cattedrale avevano suonato le sei e quarantacinque, quando il fattorino delle Poste e Telegrafi, straordinariamente fuori orario, era arrivato all’ingresso della base militare, dove Lionel Cooley aveva trascorso sedici mesi di guerra. Il ragazzo trascinava i piedi nudi, agitando svogliatamente nella mano destra un telegramma. Era un sedicenne tutto pepe, eternamente abbronzato, con i capelli ricci, gli occhi scuri e profondi, di quelli che nei film degli anni ’60 avrebbero emozionato le zitelle americane, approdate sull'isola per dipingere.
Bussò negligentemente alla porta del posto di guardia, dove un militare stava sonnecchiando. La sua immobilità vegetale ben si adattava al panorama. Aveva gli occhi chiusi, la bocca aperta, le mani incrociate dietro la nuca, afflosciato su una sedia con lo schienale poggiato al muro. Russava.
“Ehi, signor colonnello”, gridò il ragazzo. L’uomo aprì l’occhio destro: “Cosa c’è! Don’t disturb my snooze after dinner, il mio riposino del pomeriggio, lasciami stare, almeno adesso che è finita sta maledetta guerra.”
“Io vi lascio stare, ma c’è un telegramma, signor comandante.”
“Ma che colonnello e comandante, fammi vedere!”, disse Lionel Cooley, aprendo la porta. “Non me la date la mancia?”
“Un calcio nel culo ti do!”
Il ragazzo lasciò il telegramma sull’angolo della scrivania e scappò a tutta velocità, dopo aver raccolto la monetina lanciatagli dal giovane militare. Il capitano, nauseato dal caldo, si alzò, per raggiungere la fiaschetta del vino bianco, appesa al portamantelli. Bevve una lunga sorsata calda di Canonau, poi si decise a leggere il nome del destinatario. Era per lui! Aprì il telegramma e iniziò ad agitarsi. Infilò le scarpe, abbottonò la camicia, si mise in testa il cappello dell’uniforme, compose al telefono un numero interno: “Ehi, Jack, puoi sostituirmi? Un impegno, devo correre. Dai, non sono un negriero, appena posso ricambiò il favore”.
Candido Sanna, che da dieci anni tutta Cagliari chiamava Ken l’americano, dopo che per dieci anni a Chicago l’avevano chiamato Ken il sardo, possedeva una villa di pregio dall’altra parte della città, quasi rasa al suolo dai bombardamenti. Era un contatto importante quell’impresario, quel trafficone italo americano, che amava il jazz, lo swing in particolare.
Cooley aveva ambizioni da press agent e conosceva i migliori strumentisti della band militare, che avevano suonato per le truppe dal vivo e dai microfoni di Radio Cagliari. Sognava di trovare un ingaggio per i suoi amici: Fred Buscaglione e Jimmy Dash. Avrebbe voluto portarseli in America, e ci sarebbe riuscito. Doveva pensare al futuro, tirare su dei bei dollari, tessere reti, perché quei due erano geniacci che avrebbero suonato nei migliori locali: da Atlanta a San Diego, passando per New York, Las Vegas e Chicago ! Oh, Chicago, Chicago! Le foto di Red Saunders trionfatore al Club De Lisa nel 1942, gli pulsavano ancora negli occhi. Sanna aveva contribuito in silenzio a quel successo!
Il telegramma lo eccitava, Sanna era un appassionato, un intenditore, e glielo aveva promesso! Di lì a qualche tempo, sarebbe tornato a casa con dei contratti firmati, per almeno due stagioni.
Lionel pedalava svelto, mentre un crepuscolo dolce, come solo la primavera sarda poteva concepire, stava conquistando il lungo mare e le splendide spiagge di sabbia fina. Il sole era andato a nanna. Soltanto un nastro dorato all’orizzonte e su questo i pini marittimi emergevano come ombre cinesi. Alcuni pescherecci stavano lasciando la costa per dirigersi al largo, su uno specchio fatato che da indaco cambiava lentamente colore, divenendo blu notte. I cinema, le sale da ballo, i caffé stavano ridando coraggio alle insegne luminose: aprivano le porte alla gente, che dopo aver contato per anni soltanto le stelle in cielo, smaniava di folleggiare per festeggiare la fine dell’incubo.
Nella brezza fluttuava una miscela fragrante di iodio, salsedine, fiori selvaggi e olio d'oliva fritto: il profumo stesso della Sardegna.
Ken Sanna si era fatto costruire di fronte al mare, una fortezza a prova di bombardiere, difesa da guardie armate e da un sistema d’allarme. Era come un bunker, dotato di un passaggio sotterraneo che arrivava fino alla costa, al suo porticciolo privato. Là viveva, in piacevole ritiro, giocando a bocce, a carte e a scacchi, sollazzandosi con belle donne, mentre i suoi mezzi blindati viaggiavano sempre, trasportando ogni genere di conforto. Lionel Cooley appoggiò la bicicletta al muretto bianco, tirato a secco, ed il portone si aprì come quello della grotta d’Alì Babà, senza che dovesse pronunciare la nota formula… Apriti Sesamo! Tre sentinelle, pronte a far scivolare le mani nelle tasche interne delle giacche, per agguantare le automatiche, spuntarono da un massiccio contrafforte. Videro che si trattava del tenente Cooley e si ritirarono, lasciandogli via libera.
Lionel attraversò il giardino tranquillamente, salì lo scalone imperiale ed entrò nella villa dall’atrio principale, poi si diresse, sicuro, verso il salone d’onore.
Il padrone di casa, vestito di bianca eleganza mediterranea, con i suoi settanta anni e cinquantadue chili, se ne stava sprofondato in una vasta poltrona barocca. Giocava a scacchi con una donna di straordinaria bellezza.
“Salve Lionel, nemico del mio cuore”, disse Ken. “Siedi con noi, fra paesani. Bevi qualcosa d’americano, bourbon, martini?”
“Vino bianco”, disse Lionel con un filo di voce.
La ragazza gli mozzava il fiato: l'aveva sedotto con uno sguardo. Avvertiva uno strano potere in quella creatura esotica, dalla pelle scura. Il profumo speziato, l’aroma di cioccolata, la pelle d’ebano, tutto in lei emanava sanguigni trasporti di passione.
Accavallò le preziose gambe d’ebano, dondolando leggermente la destra; con un solo movimento gli stava comunicando classe, raffinatezza, erotismo. Lo lusingava, facendolo sentire al centro del mondo. Lionel avvertì sapore di sesso sbocciare sulla lingua e desiderò restare solo con lei. Sentì che quella bocca socchiusa, rossa come il fuoco, voleva rapirlo in un piccante intrigo di baci.
“Allora, mi stai ascoltando Lionel?”
“Sì, scusa…”
”Capisco, Lilly Moreau è affetta da seduzione congenita, non lo fa apposta. Oltre ad essere una brava archeologa è l’incarnazione della lussuria”.
Il cameriere portò tre bottiglie gelate, di vini diversi.
“Veniamo al motivo della tua visita. Ti ho chiamato per chiederti un piccolo favore”, una luce inquietante attraversò gli occhi della donna, che rimase in silenzio.
“La dottoressa Moreau, mi ha proposto un affare interessante. Era l’assistente di un noto studioso di tradizioni esoteriche.”
“Lavoravo per Heinrich Himmler”, tagliò corto lei.
“Il cadetto d’Adolf Hitler, il rifondatore delle SS?” disse Lionel Cooley, realmente sconcertato.
“Sì, l’Ahnenerbe Forschungs und Lehrgermeinschaft, l’Associazione per la Ricerca e la Diffusione dell’Eredità Ancestrale da lui fondata, finanziava le nostre missioni archeologiche Cercavamo le cose più misteriose, dal Sacro Graal nel Francia del sud, all’accesso ad Agharti in Asia centrale. E’ quasi impossibile entrare in quel regno, quando non si è invitati. Tale impresa porta alla morte.
Hitler era ossessionato dal Re del Mondo, tanto quanto Himmler da Re Enrico Primo, detto L’Uccellatore. Si considerava la sua reincarnazione.”
“Non ne ho mai sentito parlare”, disse Lionel.
“Fu il primo sovrano dei tedeschi, che nel medioevo barbarico respinse le incursioni di boemi e magiari, ponendo le basi per la creazione del Sacro Romano Impero.”
“Una questione fra nobili, insomma, e l’ha poi trovato questo Re del Mondo?”
“No, ma ho scovato una creatura molto interessante”, disse Sanna. Gli mostrò una piccola piramide di metallo argenteo scuro, a base quadrata.
“Cos’è, un souvenir, un fermacarte?”, domandò Lionel, osservando con curiosità il misterioso oggetto.
“E’ parte di un congegno d’alta tecnologia, fabbricato da una razza aliena antidiluviana.”
“Boom!”, urlò Lionel, battendo le mani, divertito come un bambino al tiro a segno.
“Risparmia l’ironia, amico, perché fra pochi anni potrà distruggere o salvare l’umanità.”
“Mi hanno scongiurato di conservarla come il bene più prezioso”, concluse lei.
“E’ una storia assurda: perché l’avrebbero affidata alla prima arrivata?” Lionel sorrise, dubitava.
“Il principe che ho incontrato, è un essere speciale, dotato di poteri straordinari”, sussurrò Lilly, “mi aspettava e sapeva tutto di me, anche che sarei giunta fin lassù. Io sono stata scelta, ero la designata”, accavallò flessuosamente le gambe, “la piramide proviene dall’Egitto predinastico ed è appartenuta ai sacerdoti Leviti che la portarono con loro nell’Esodo, per poi custodirla nel Tempio di Salomone con altri tre solidi d’identiche dimensioni.”
“I fermacarte, allora, erano quattro, io sono bravo in aritmetica e non sono stupido, finiamola con questo scherzo, Ken!”
“I fermacarte sono quattro e non stiamo scherzano. Non possono più restare insieme; questo gingillo vorremmo affidarlo a lei… per qualche giorno”, chiarì la ragazza.
Lionel pensò che quel mattacchione di Ken Sanna stesse esagerando. Commerciava in tutto, dai tempi del proibizionismo, e non era certo diventato il re della borsa nera con la musica, anche se adorava il jazz, ma un conto erano i diamanti, le armi, il whisky, un altro i dischi volanti, i guru e gli scienziati pazzi.”